C’è Angelo di Sant’Angelo Muxaro, pastore con gli occhi di cielo; c’è Vincenzo di Contessa Entellina che usa la tempera all’uovo su fondo oro per le sue icone; c’è Simone di San Biagio Platani che ogni anno diventa uno dei Madunnara e cuce archi devozionali; c’è Caterina di Isnello che lavora i pesanti “piduni”, c’è Pietro di Giuliana, scultore contadino, c’è Damiano, il mago dei bastoni intagliati, a Bompietro. Sono testimoni dal volto antico, custodi di una tradizione che passa sempre dalle mani, o giovani che hanno voglia di trovare una strada che li riporterà alle proprie origini: sei tesori viventi, sei guardiani del tempo che, ciascuno a proprio modo, sono legati alla terra e alle sue tradizioni secolari.
Le loro fotografie sono diventate opere d’arte e sono volate a Los Angeles per una piccola, preziosa mostra allestita all’interno del Villaggio Italia che accoglie la storica Amerigo Vespucci, la nave-scuola della Marina Militare Italiana; e dove, fino a lunedì 8 luglio, si parlerà dell’Anno delle Radici italiane nel mondo, e del progetto Italea del Ministero degli Esteri dedicato agli italiani all’estero e agli italo-discendenti.
La mostra è infatti realizzata da Italea Sicilia, la costola siciliana del progetto. Sulle fotografie – scattate dal giornalista Giulio Giallombardo durante il Borghi dei Tesori Roots Fest, il festival che valorizza il patrimonio dei piccoli comuni siciliani – è intervenuto Domenico Pellegrino che ha gettato un reticolo di trame sottili, pizzi antichi, sogni impalpabili e ricordi che attingono alla memoria collettiva. Sono nate così sei prove d’autore, uniche nel loro genere, già esposte nell’ambito di Iconic Women, la mostra che Pellegrino ha presentato con successo ad aprile scorso alla Design Week di Milano. E oggi le stesse fotografie raggiungono gli Stati Uniti dove centinaia di migliaia di siciliani sono emigrati, restituendo a distanza la memoria ai discendenti di questi protagonisti.
“È un piccolo racconto di una Sicilia che sembra sul punto di scomparire, ma che poi si scopre viva attraverso lampi di umanità. Su questi volti, giovani custodi di antiche tradizioni o anziani testimoni di un’epoca, sono tracciati fili che annodano generazioni, da Isnello a Sant’Angelo Muxaro, da Bompietro a Giuliana, fino a San Biagio Platani e Contessa Entellina”, spiega Giulio Giallombardo. “Su queste immagini, trasformate in segni digitali, si innestano trame sottili, intrecci di cui si sente ancora il peso della mano, l’eco del lavoro fisico – interviene Domenico Pellegrino – Tatuaggio impossibile, mutazione quasi invisibile: forse una sorta di identificazione tra la memoria di una tradizione artigiana tutta locale e la concretezza del corpo, della presenza”.
“Raccontare il meglio dell’Italia”. Villaggio Italia, nella prima tappa di Los Angeles, ha una superficie di 12mila metri quadrati. Seguirà poi l’Amerigo Vespucci negli altri sette porti previsti: Tokyo, Darwin, Singapore, Mumbai, Abu Dhabi, Doha e Jeddah.
I PROTAGONISTI DELLA MOSTRA
ANGELO GRECO – Il pastore con gli occhi di cielo
Un sogno lungo duecento pecore. Ma chi l’avrebbe mai detto che per questo ragazzo, con gli occhi azzurrissimi che sbucano da sotto la coppola e illuminano un viso bruciato dal sole, il sogno da realizzare era quello di condurre le sue bestie al pascolo. Angelo Greco, di professione pastore-aedo: e non si tratta di un ripiego, proprio no, Angelo ha scelto non solo di restare nel suo borgo sui Sicani, Sant’Angelo Muxaro, ma anche di riprendere in mano un mestiere che ormai si è quasi perso. Questa è terra aspra e morbida insieme, la scelse centinaia di anni fa il buon Dedalo in fuga dal labirinto cretese, che trovò accoglienza dal misterioso re Kokalos: già allora su queste colline i pastori conducevano le greggi e seguivano le stagioni. La stessa cosa fa oggi Angelo che possiede anche un segreto: è l’unico, insieme a un altro santangelese, a conoscere un antichissimo canto liturgico, lamentazione ipnotica e vibrante che si declama ancora tra i vicoli del borgo durante la processione del Venerdì Santo.
VINCENZO BRUNO – Il giovane pittore di icone Arbëreshë
La tempera all’uovo su fondo oro quasi brilla: è una tecnica antica, molto utilizzata tra il XII e il XIV secolo in Europa e soprattutto, nell’arte legata alle chiese ortodosse. Tecnica che Vincenzo Bruno ha ripreso e reso perfetta. Dal lavoro certosino del giovane artista, chinato per ore su un unico manufatto illuminato da una sola lampada, nascono icone che paiono gioielli. Vincenzo da anni realizza bellissimi lavori lasciandosi ispirare (e trasportare) dallo stile bizantino, ma in questo caso, diversamente dalla tradizione, le sue icone sono in ceramica, per garantire una migliore conservazione. E non sembri strano che quest’arte sia rinata proprio nel piccolo borgo di Contessa Entellina: siamo nel cuore della tradizione arbëreshë qui – oltre a Contessa, anche Piana degli Albanesi, Palazzo Adriano, Santa Cristina Gela e Mezzojuso – giunsero i profughi albanesi in fuga dagli Ottomani. E con loro portarono i pochi averi e le icone, unico legame con la tradizione religiosa della terra che furono costretti ad abbandonare.
SIMONE DE MARCO – Gli Archi nati da un’intera comunità
Gnocchetti per i girasoli, orecchiette per i mandorli, piccole rose di pasta colorata, chicchi e legumi: e tutto il paese che da mesi si mette in moto per ricreare, ogni anno, i tradizionali archi di pane di San Biagio Platani. La preparazione degli archi è molto complessa, visto che sono tutte architetture effimere, ogni anno si riparte da capo: canne e fusti di salice vengono pressati per ricoprire le intelaiature in ferro che formeranno i famosi archi a cui si appenderanno le Ninfe addobbate (simili a sontuosi lampadari). Ci sono le due fazioni di lavoro: i Madunnara sono più inclini all’azzurro, i Signurara sposano più chicchi e legumi: tra loro c’è Simone De Marco che è andato via a Londra ed è ritornato, da ragazzo adulto, per ritrovare se stesso nel suo paese. A San Biagio tutti lavorano: gli uomini piegano il ferro, le donne impastano il pane da decorare, i bambini infilzano legumi, le ragazze compongono mandala di semi o fiori di pasta: alla fine di questo straordinario lavoro, il paese si veste a festa.
CATERINA DI MARTINO – La zia che lavora i pesanti “piduni”
La zia Caterina è conosciuta ovunque a Isnello, il piccolo borgo arrampicato sulle Madonie, dove ogni chiesa è un gioiello e nelle case si discute di astronomia: dalle dita leggere dell’anziana donna nascono fiori, farfalle, impalpabili merletti, filet di stampo antico, gli stessi che fiorivano sui corredi delle spose. Ma il mestiere di una volta si trova anche in un altro lavoro, che Caterina Di Martino, insieme ad altre donne di Isnello, realizza: dalle sue mani preziose nascono anche i “piduna”, i calzettoni pesanti di lana indossati dai pastori, calde d’inverno e fresche d’estate, un vero termometro delle stagioni che inesorabili, ritornano sempre. È arte antica, ormai nessuno li realizza più, eppure sono ricercatissimi, e non solo sulle Madonie. E quelli di zia Caterina hanno anche un’altra qualità, sono realizzati soltanto con la lana delle pecore che l’artigiana alleva e conosce una ad una. A Isnello esiste una lunghissima tradizione tessile, raccontata dal museo Trame di filo.
PIETRO PRINCIPATO – Zu’Pietro, scultore contadino in terra sicana
Incide con il coltello, tagli netti, veloci, come se accarezzasse il legno d’ulivo o di noce: ma soprattutto, incide da oltre novant’anni. Pietro Principato per tutti è zu’ Pietro, vive a Giuliana anzi, è ritornato a Giuliana dopo tanti anni passati in Germania a cercar fortuna, e dopo una brutta lesione che lo ha costretto sulla sedia a rotelle per anni. Così lo zu’ Pietro ha recuperato i tagli, le carezze al legno che faceva quando, da ragazzino, guidava le bestie al pascolo e trascorreva lunghissime ore da solo sulle colline attorno. Scultore-contadino in terra sicana, dalle sue dita nasce un piccolo mondo di figurine ieratiche, bassorilievi, scorci siciliani, dal tratto antico, che paiono stringere la mano da lontano a certi reperti che si affacciano dai musei archeologici.
DAMIANO SABATINO – Il mago siciliano dei bastoni intagliati
Damiano Sabatino è un tesoro vivente dell’Unesco, i suoi bastoni intagliati hanno uno stile unico e particolarissimo. È un architetto-intagliatore che lavora il legno, realizzando manufatti che sono vere opere d’arte. Bastoni personalizzati, ma non solo. La sua arte è nata da emigrato, quando lavorava nell’Alto Varesotto, una zona con tanti boschi simili a quelli delle Madonie. Per rendere meno lunghe le giornate, Damiano recuperò l’antica abitudine dei pastori, intagliare il legno. I suoi lavori sono belli da vedere, ma hanno anche una storia da raccontare. Sono tutti oggetti con un’anima, come il bastone con Barbablù di Petralia, o quello dedicato alla Madonna dell’Alto. Sono in legno di sorbo, il più duro, soprattutto se si tempra prima con il fuoco. Oppure in biancospino, che va raccolto con la luna calante: seguendo questo piccolo segreto, il legno si può lavorare molto meglio.